Oggi parleremo di una grande Azienda toscana, la cantina Marchese di Antinori e in particolare, di uno dei suoi vini di punta che tutti, almeno una volta nella vita, avrete sentito nominare: il Tignanello.
Tutto ebbe inizio nel lontano 1385 da Giovanni di Piero Antinori; la famiglia Antinori sin da allora gestisce personalmente l’azienda e ad oggi, dopo ben ventisei generazioni, è gestita da Albiera Antinori con il sostegno delle sorelle Allegra e Alessia.
Il Tignanello nacque nel 1970 e in origine venne chiamato “Chianti Classico Riserva vigneto Tignanello”, ma con una composizione delle uve diversa da quella attuale: conteneva il 20% di Canaiolo e il 5% di Trebbiano e Malvasia e subiva un affinamento in botti di rovere. Nel 1971 divenne vino da tavola di Toscana e fu denominato Tignanello, ma nel 1975 fu del tutto rivoluzionato perché sparirono completamente le uve bianche. Dal 1982 la composizione è rimasta la stessa di quella attuale quindi con l’80% di Sangiovese, il 15% di Cabernet Sauvignon, il 5% di Cabernet Franc e viene prodotto rigorosamente solo nelle migliori annate.
Ho avuto il piacere di bere questo monumento dell’enologia italiana, ideato dal famoso enologo Giacomo Tachis, uno dei “padri fondatori” dell’enologia italiana purtroppo scomparso nel 2016 all’età di 82 anni.
Un vino fantastico che ci fa essere orgogliosi di mostrare il nostro “made in Italy” in tutto il mondo.
Tutte le uve con il quale viene ottenuto sono raccolte unicamente a mano, dopo un’attenta e scrupolosa selezione vengono portate in cantina, diraspate e pigiate tramite pressatura soffice e vinificate separatamente; la macerazione avviene in tini di legno da cinquanta hl, quindici giorni per il Sangiovese e venti giorni per il Cabernet. Il vino passa poi in barriques nuove e in quelle di un anno di età, sia di Alliers che di Tronçais, nelle quali completa la fermentazione malolattica; viene travasato per assemblare le varietà e riportato di nuovo dentro le barriques per altri quattordici mesi, al termine dei quali, si procede all’imbottigliamento. Infine segue un affinamento in bottiglia di almeno un’altro anno prima della commercializzazione.
Dato che la bottiglia in questione è dell’annata 1999 è stata stappata qualche ora prima di berla per permettere una giusta ossigenazione, rigorosamente con cavatappi a lame per evitare che il tappo si sgretolasse.
La degustazione è stata molto interessante: appena versato nel bicchiere presentava un colore rosso granato limpido; al naso era inebriante, complesso, di una grande finezza, emanava sentori di frutta rossa matura, fiori secchi, sotto bosco, cioccolato fondente, liquirizia, cuoio, tabacco, cannella, vaniglia, pepe nero e una leggera nota balsamica. Al palato il vino è caldo visto i suoi 13,5% di alcool, ma non fastidioso, ha un tannino morbido, vellutato, mai invadente e ritornano le sensazioni che abbiamo sentito al naso, chiude con una gradevole nota balsamica.
Il mondo del vino mi stupisce sempre più, facendomi provare sempre forti emozioni come in questo caso. Un vino di grande struttura, un’eccellenza del nostro Paese di cui andare fieri.